L'empatia in una sala d'aspetto.
- Roberta Mazza
- 15 mag 2020
- Tempo di lettura: 2 min
Quel giugno di un anno fa, ho percorso lo stesso corridoio almeno 20 volte. Spesso è stata una rincorsa sulle scale, un’altra strada da trovare. L’attesa è sempre circoscritta, ma sembra infinita. Ricordo piacevolmente una mattina. Siamo in due, sono solo le 9. Siamo due donne, due pianeti diversi, indecifrabili come tutti gli altri. In quel lungo corridoio bianco e spoglio, ti ho sorriso. Un luogo oscuro e pieno di cuore, dove gli estranei rimangono intrappolati sotto pseudonimi che sanno di non poter confessare. Avrei tanto voluto dirti: Non avere paura. Il fiume è mio amico, il vento pure, gli alberi e le bestie. Io ho paura solo degli uomini e delle macchine. Non mi uscì nulla. Ho rimediato con un volgare:
Scusa il disturbo, hai un fazzoletto?
Mi poni la mano a forma di protezione, hai il viso serio, teso, ma complice. Chissà quanti anni hai. 40? 50? Hai denti piccoli e dritti, è un peccato che tu sorrida così poco.
Certo, tieni pure il pacchetto; ne ho altri tre.
Abbiamo comunicato nel codice cifrato della tribù, comprensibile ai pochi che sono molti. La osservo nella sua asimmetrica imperfezione, rimango stupida. A volte succede: chiamarsi e parlarsi con gli occhi, forse sta tutto lì, nell’unione di due anime che condividono una sala d’aspetto. Mi passa un altro fazzoletto, facendolo scivolare sulla mia mano, ripetendo il gesto disperato, affettuoso e sempre uguale, dimenticando per pochi secondi di quella battaglia primitiva per cui siamo entrambe lì, di quella battaglia di cui sappiamo molto e ancora troppo poco. Le auguro buona fortuna, donna dagli occhi generosi. Essere visti, ricominciare da capo è il regalo più bello che ci sia. ...Che il tuo viaggio ricominci ora. Te lo auguro.

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